Sinistra addio di Paolo Macry

Che a vincere sia l’imprenditore Lettieri o l’ex pm de Magistris, Napoli volta pagina. Sul piatto, due proposte molto diverse, ma comunque nuove. Da una parte, progetti di sviluppo economico, incentivi agli investimenti, «legge speciale», privatizzazione dei servizi, termovalorizzatore. Dall’altra, l’immagine di una leadership che non troppo si cura dei programmi, perché riesce a far breccia nel cuore della gente, sollecita un entusiasmo contagioso, dà spazio a quell’antipolitica arrabbiata che è il lascito paradossale di una lunga stagione di sinistra. E la sinistra, infatti, scompare.

Di simboli di sinistra, sulla scheda del ballottaggio, l’elettore napoletano non vedrà neppure l’ombra (eccezion fatta per Rifondazione, che alle ultime regionali raccolse poco più del 2 per cento). La grande macchina da guerra comunista e postcomunista, quella che dal 1975 in poi ha guidato Palazzo San Giacomo per oltre un quarto di secolo, non c’è più. Evaporata senza lasciar traccia. Quasi che decenni di leader politici e amministratori — da Chiaromonte a Napolitano, Valenzi, Geremicca, Bassolino, Cascetta, Nicolais — non fossero mai esistiti. Il fatto è che, storicamente, la sinistra cittadina ha sperperato enormi risorse ideali e materiali, ivi compreso un consenso spesso generoso. Ha bruciato gli entusiasmi suscitati da un sindaco «migliorista» e poi, vent’anni dopo, da un sindaco ex-ingraiano, non riuscendo a dare risposte adeguate alle sfide difficili dei tempi. Per Valenzi, i rapporti con la Dc, il terremoto, il terrorismo. Per Bassolino, la mutazione imposta dall’elezione diretta, la deindustrializzazione, il degrado ambientale. Ma il dopo-Bassolino è molto diverso dal dopo-Valenzi. Rispetto agli anni Ottanta, non ci sono pezzi da rimettere assieme, ma soltanto un deserto. Naturalmente, se tra sette giorni sarà de Magistris a prevalere, la sinistra dirà di aver vinto. E sarà una bugia.

Oggi i democrat devono non solo riconoscere i propri errori (come fa onestamente Enzo Amendola), ma abituarsi alla dolorosa alternativa tra essere l’opposizione di una giunta di destra o la ruota di scorta di una giunta dipietrista. E non è detto che la seconda ipotesi sia quella preferibile. La scelta di Umberto Ranieri di diventare il principale sponsor di de Magistris è lo specchio del cul de sac. Ranieri rappresenta una sinistra napoletana innervata dal socialismo liberale, pragmatica, anti-demagogica, garantista. Ebbene, quanto una simile tradizione sia lontana sideralmente dall’irruenza antipolitica, dall’efficace linguaggio apodittico, dal baldanzoso cesarismo dell’ex pm, è facile da capire. Altrettanto ovvio è che poco o nulla il moderato Ranieri sarebbe in grado di condizionare un’eventuale sindacatura di de Magistris. Il suo Pd non è soltanto spaccato al suo interno secondo linee di divisione più o meno archeologiche: è ininfluente, ridotto a una sparuta pattuglia di consiglieri comunali, tenuto a debita distanza dallo stesso de Magistris. Come si fa con chi potrebbe attaccarti una brutta malattia. Qualunque ne sia l’esito, queste elezioni seppelliscono la sinistra. E seppelliscono soprattutto il progetto dei riformisti di fare a meno del dipietrismo. Li costringono a diventare i pallidi comprimari proprio del trionfo del dipietrismo. Una fine a dir poco ingloriosa
Paolo Macry -  il Corriere del Mezzogiorno
22 maggio 2011