Stavolta Gomorra ha perso la testa per davvero. Ci sono voluti più di 350 agenti e la forza assordante delle trivelle, poi ieri l’ultimo capo dei Casalesi si è arreso. Michele Zagaria, boss latitante da 16 anni e 2 giorni, era nascosto 5 metri sotto terra: il blitz a Casapesenna, nel Casertano, era partito nel buio della notte, ma solo quando l’intuizione di aver fatto centro è diventata certezza, i martelli pneumatici hanno iniziato a sfondare il cemento del bunker.
Destino beffardo per lui, «il re del cemento», capace come nessuno di penetrare e infestare gli appalti pubblici di tutta Italia. Accerchiato, ha messo la testa fuori quando è stata staccata l’elettricità che assicurava l’aerazione in quei 20 metri quadri. Si è consegnato chiedendo di smettere con le trivellazioni, poi alle 13.10 una Toyota Corolla se l’è portato via. Poco prima l’ultima sfida, ironia sprezzante verso gli agenti: «È finita, ha vinto lo Stato… ». Invece, per i poliziotti una festa che sa di liberazione: abbracci, cori, clacson, segni di vittoria. Tra loro c’era anche il vicequestore Vittorio Pisani, a lungo capo della mobile di Napoli, rinviato a giudizio per un’inchiesta sul riciclaggio di denaro dei clan.
L'impero del boss - Un 53enne distinto, volto segnato, un po’ diverso dall’identikit fatto al computer e usato dalle polizie di mezzo mondo per dargli la caccia. Non ha scelto una dorata località, mail caro vecchio feudo: Zagaria era latitante nel centro del suo paese. E nel covo, l’immaginario del perfetto boss: immagini sacre, crocefissi, libri sulla camorra (immancabile Gomorra di Saviano) con l’eccezione della biografia di Steve Jobs. Per il resto tremila euro in tasca, ma niente armi.
Ricercato per associazione mafiosa, omicidio, estorsione, rapina e altri reati ancora, Michele «Capastorta» Zagaria aveva costruito un impero da milioni di euro nel triangolo ad altissima densità camorristica, tra Casapesenna, San Cipriano d’Aversa e Casal di Principe. Specializzato nelle infiltrazioni dell’edilizia del Nord, raccontano che anni fa avesse una tigre al guinzaglio come un barboncino. Un capo, pericoloso: per questo la cattura ha regalato gioia ovunque, da Napolitano a Monti, fino alla ministro dell’Interno Cancellieri. Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ha usato un’immagine a effetto: «È la liberazione da un incubo e da un mito. Abbiamo preso il simbolo dell’invincibilità dei Casalesi». Invece, il suo collega Domenico Lepore, procuratore capo di Napoli, martedì prossimo andrà in pensione contento: «Era il regalo più atteso». Ma, in mezzo alla festa, l’avvertenza più importante: «Abbiamo distrutto il clan, ma la guerra non è vinta».
